Lo spettacolo, a cura del Collettivo Teatro Prisma, andrà in scena venerdì 26 maggio al teatro Sociale di Fasano
“Mi assumo tutta la responsabilità per l’omicidio di Garofalo Lea“.
Così Carlo Cosco, ex compagno di Lea, confessa in aula il suo atroce delitto. È il 24 Novembre 2009 quando la prima testimone di giustizia calabrese scompare senza lasciare tracce, ultimo avvistamento un’immagine di una telecamera di Corso Sempione a Milano. Una battaglia, quella di Lea, durata quasi 7 anni, iniziata quel lontano 13 Luglio del 2002, quando entra nella caserma dei carabinieri di Petilia Policastro e inizia a raccontare tutto quello che ha visto.
Si preannuncia dalle forti emozioni e dall’alta carica emotiva lo spettacolo “Denuncio tutti”, in programma venerdì 26 maggio alle 20.30 al teatro Sociale di Fasano e a cura del Collettivo Teatro Prisma.
La pièce è il terzo e ultimo spettacolo della “Rassegna OFF”, cartellone artistico allestito dalla compagnia SenzaConfine e che ha già visto in scena Marco Belardi in “Non è uno spettacolo per bambini” e Marco Baliani in «Khoolaas», due lavori di altissimo livello e molto apprezzati dal pubblico fasanese.
Gli spettacoli rientrano nel cartellone teatrale dell’ATS Katharà nell’ambito del progetto di gestione del Teatro Sociale, in collaborazione con il Teatro Pubblico Pugliese e con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Fasano.
Il regista Giovanni Gentile e l’attrice Barbara Grilli racconteranno del coraggio di Lea, sola contro tutta un’organizzazione mafiosa, contro una cultura radicata da secoli, contro un clan di pericolosi criminali assassini. Ma racconteranno anche del cancro ‘ndranghetista che infetta l’edilizia pubblica, l’economia e la finanza e di come la ‘Ndragheta sia entrata, prepotentemente, nella stanza dei bottoni. Una lezione sulla mafia e una lezione sul coraggio delle donne.
Di seguito le parole del regista e autore Giovanni Gentile che si è espresso attraverso la stesura delle note di regia: “Cosa fa il nostro Stato di una vittima che cerca di ribaltare il suo cammino e cerca di insegnare, con le sue azioni, come ribaltare il percorso di una società?
Questa è la domanda che Lea Garofalo mi ha posto come autore e come regista. La vittima di un ordine che si può definire “istituzionale”, perché la Ndrangheta è uno Stato, è dentro lo Stato, è lo Stato.
E Lea Garofalo per questo Stato deve morire, da sola, abbandonata come Falcone, Borsellino, Livatino, Impastato perché quando lo Stato abbandona, quello Stato ha gli occhi della mafia.
Quando ho scritto questo spettacolo sentivo quanto fosse giusto mettersi accanto a Lea e denunciare. E io che sono una persona libera posso dire le cose che diceva Lea, ma ad ogni parola sono consapevole di perdere un grammo di questa libertà, perché quando si deve portare alla luce lo scandaloso mondo della Ndrangheta, l’alleanza assassina tra Stato e mafia, inevitabilmente sai che questa libertà la stai per perdere. Ma di questi atti coraggiosi, di queste figure coraggiose come Lea Garofalo ne abbiamo bisogno, oggi più che mai“.