Proseguono gli appuntamenti del festival “Tempeste. Immagini, suoni, racconti dal Mediterraneo” che lunedì 17 dicembre ha visto protagonista al Teatro Kennedy Moni Ovadia con il suo spettacolo “Cabaret Yiddish”.

Ad introdurre la serata il consigliere comunale Donato Marino che ha usato proprio le parole dello stesso Moni Ovadia per descrivere lo spettacolo: “Ho scelto di dimenticare la “filologia” per percorrere un’altra possibilità proclamando che questa musica trascende le sue coordinate spazio-temporali “scientificamente determinate” per parlarci delle lontananze dell’uomo, della sua anima ferita, dei suoi sentimenti assoluti, dei suoi rapporti con il mondo naturale e sociale, del suo essere “santo”, della sua possibilità di ergersi di fronte all’universo, debole ma sublime. Gli umili che hanno creato tutto ciò prima di poter diventare uomini liberi, sono stati depredati della loro cultura e trasformati in consumatori inebetiti ma sono comunque riusciti a lasciarci una chance postuma, una musica che si genera laddove la distanza fra cielo e terra ha la consistenza di una sottile membrana imenea che vibrando, magari solo per il tempo di una canzonetta, suggerisce, anche se è andata male, che forse siamo stati messi qui per qualcos’altro.

Al centro di “Cabaret Yiddish” la lingua, la musica e la cultura Yiddish, un miscuglio di tedesco, ebraico, polacco, russo, ucraino e romeno, capace di esprimere la condizione universale dell’Ebreo errante, il suo essere senza patria.
Un “cabaret” in cui i brani musicali si intrecciano con canti, storielle, aneddoti e citazioni presentando, con toni leggeri, quella parte di cultura ebraica di cui lo Yiddish è la lingua e il Klezmer la musica.
La musica Klezmer deriva dalle parole ebraiche Kley Zemer, che si riferiscono agli strumenti musicali (violino ed archi in genere e clarinetto) con cui si suonava la musica tradizionale degli Ebrei dell’est europeo a partire all’incirca dal XVI secolo.
A riempire quella che è una scena nuda, sono infatti i quattro musicisti MAURIZIO DEHO’ (violino), PAOLO ROCCA (clarinetto), ALBERT FLORIAN MIHAI (fisarmonica) e LUCA GARLASCHELLI (contrabbasso) e l’energia di Ovadia.

Il cantore racconta con ironia le singole «storielle» che racchiudono per stereotipo ogni ebreo facendo ridere il suo pubblico, ma al contempo ripercorrendo i passi e facendo emergere le caratteristiche della cultura Yiddish nelle sue diverse sfaccettature.
Protagonisti di “Cabaret Yiddish” sono infatti ebrei polacchi, americani, russi e tedeschi, commercianti, sarti, analisti e rabbini.
Uno spettacolo in cui il ritmo è scandito non solo dagli strumenti musicali ma anche dall’energia di Moni Ovadia, capace di creare, anche solo con il tono della voce, un’atmosfera festosa che si tinge sul finale di malinconia nel canto di dolore, un lamento, per il ricordo delle vittime nei campi di concentramento.
In una lingua non comprensibile al pubblico Moni Ovadia ci accompagna dunque con movimenti, quasi una danza, musica, canzoni e racconti nel viaggio alla scoperta del “popolo eletto” che al di là dei luoghi comuni, è un popolo che ha sofferto l’esilio ed è stato vittima dei periodi più bui della nostra storia, ma che seppur sparso per il globo resta unito da quella cultura che li accomuna tutti e che ne rappresenta la voce più forte.

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