La Prima Sezione della Corte di Cassazione, con sentenza del 30 marzo, ha annullato senza rinvio l’ordinanza del gip di Brindisi del 28 aprile 2015 che aveva disposto l’archiviazione dell’inchiesta sulla morte “a causa delle ustioni riportate nel suo abbruciamento” della 14enne Palmina Martinelli nel 1981.
La suprema Corte ha accolto il ricorso della sorella Giacomina, assistita dall’avvocato Stefano Chiriatti. La sentenza dispone la trasmissione degli atti al procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bari, territorialmente competente per la nuova inchiesta.
Dal 2010 “Chi l’ha visto?” ha affiancato Giacomina Martinelli nella battaglia per la riapertura del caso, trasmettendo anche l’agghiacciante registrazione audio delle ultime dichiarazioni in punto di morte di Palmina ai magistrati: “Chi ti ha fatto del male?” “Giovanni, Enrico”, rispose. “Cosa ti hanno fatto queste persone?” “Alcol, fiammifero”.
Nonostante questo, tre sentenze hanno concluso che la ragazza che si rifiutava di prostituirsi morì per suicidio.
Era l’ 11 novembre del 1981 quando Palmina Martinelli, appena 14enne, venne ritrovata nella sua abitazione di Fasano dal fratello maggiore Antonio, che rincasava intorno alle 16.25, in piedi sul piatto doccia del bagno di servizio con il corpo avvolto dalle fiamme, nel tentativo di salvarsi, reso vano dalla mancanza d’acqua.
Sia al fratello che le prestò i primi soccorsi, sia ai medici, agli infermieri e ai carabinieri che per primi la interrogarono, fece con lucidità i nomi dei suoi carnefici, che dandole fuoco avevano voluto punirla per essersi rifiutata di prostituirsi. Presso il Centro di Rianimazione del policlinico di Bari dove fu trasportata per la gravità delle ustioni riportate, Palmina Martinelli rilasciò le sue ultime dichiarazioni alla presenza del pubblico ministero Nicola Magrone e del dott. Tommaso Fiore, responsabile del centro. Le sue parole vennero prima trascritte a verbale e poi registrate anche su nastro magnetico.
Pochi giorni dopo le sue dichiarazioni, il 2 dicembre, morì.
Il processo davanti alla Corte d’Assise di Bari iniziò il 28 novembre del 1983 e si concluse il 22 dicembre dello stesso anno con l’assoluzione degli imputati principali per insufficienza di prove. La Corte, per esclusione, avvalorò l’ipotesi del suicidio, sostenuta anche da una lettera lasciata da Palmina sul tavolo della cucina di casa.
Contro la sentenza di primo grado, il Pm propose impugnazione. Ma ciò non servì a modificare il verdetto, confermato sia in Appello, nel 1987, che in Cassazione, l’anno dopo.
Ora la clamorosa sentenza della Cassazione di non archiviazione del caso.